Assolutamente Vera

Giovanni Gregori
Maestro di Immagine. Conduttore di laboratori ditattici. Pittore ed artista cremonese.

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La storia di Vera di G. Gregori

CONVEGNO “BANCHI DI NUVOLE”
21 maggio 2003 - Cremona
Relazione del maestro Giovanni Gregori

…a bocca aperta con Vera, trattenendo il respiro, sotto il salto del cerbiatto…

Una proposta

Alcune immagini, scelte tra una produzione ben più vasta e varia , lanciata ad esplorare ogni possibile direzione, espressiva e comunicativa, realizzate da una bambina che ha saputo e potuto vivere pienamente la propria creatività.

Una domanda

Può un bambino, e come, preservare se stesso e crescere nella propria libera ricerca espressiva e comunicativa, evitando il rischio di lasciarsi “soffocare” dal contesto culturale in cui vive o da adulti ansiosi, talvolta, di “finalizzare” in fretta i suoi talenti o, più spesso, preoccupati di “deviare” la sua attenzione ed il suo impegno verso direzioni più “concrete e produttive”?

Una storia

VERA, la sua storia.
Ma, soprattutto, la storia del suo percorso espressivo.

Relazione registrata

Faccio il maestro da più di trent’anni.
Quando abbiamo cominciato, nei primi anni sessanta, non esistevano percorsi stabiliti, didattiche particolari e abbiamo dovuto costruirci gli strumenti. Logicamente, i periodi della storia non sono tutti uguali; ci sono periodi in cui certe idee hanno più fortuna, ed altri in cui hanno più fortuna altre idee. Penso che, in questo momento, siamo in una fase in cui l’Immagine, pur avendo socialmente uno spazio enorme, non sempre invece nella società e nella scuola trova uno spazio adeguato rispetto ad altri linguaggi. All’interno di ciò che vi ho detto, capita a volte di incontrare delle esperienze che possono svolgersi a scuola, altre che possono svolgersi a lato o fuori dalla scuola. La mia testimonianza di oggi è una di queste.

È la proposta di alcune immagini scelte con molta fatica, non perché fosse difficile sceglierle, ma perché ce n’erano troppo tante!! Noi ne abbiamo scelte alcune che ci danno l’idea di un percorso di immagine, di espressione con l’immagine, di una bambina tra i tre anni( quando era piccolina) fino ai nove-dieci, che da sola, perché questo è importante: senza che nessuno le insegnasse, è riuscita a fare un percorso che Faeti definisce “coerente e concluso, con l’approdo ad un esito, ad un risultato” Quindi non un percorso interrotto o non completo, ma di qualcuno (in questo caso una bambina, una ragazzina) che ha trovato una strada di comunicazione, di espressione e l’ha percorsa facendo dei passi avanti e maturando in questa strada. Logicamente quando una persona vede e si incontra con questo fatto, si chiede che cosa favorisce un bambino e cosa invece impedisce a un bambino di fare questi percorsi. (Che è la domanda che troviamo subito sotto il foglio di presentazione). Questa storia, che io ho chiamato “La storia di Vera” dovrebbe servirci, oggi, a farci riflettere sul modo di fare, sul fare…ecco… io chiamo “il fare” dei bambini, e sul ruolo degli adulti.

Partiamo con le immagini. La prima immagine è questa inquadratura di un racconto completo, fatto a fumetti, in cui si vede questo personaggio (cerbiatto) che sta saltando il tronco di un albero.

È un fumetto realizzato da questa bambina a otto anni, ripeto, che ha raggiunto questo linguaggio autonomamente. Nessuno le ha insegnato come si facevano i fumetti. E per capire questo, basta vedere, anche se un po’ velocemente, tutta la storia. La caratteristica del disegno è quello “di una bambina”, però la capacità di narrazione non è più di una bambina di questa età, che non ha avuto qualcuno che le ha insegnato, ma ha scoperto da sola il percorso da fare.

Ecco il salto…vedete i primi piani addirittura!…Vedete la scansione delle sequenze…che poi termina…Prima c’era il professore che parlava dell’importanza dell’immagine finale…e qui ci arriviamo. Vedete quella lattina di Coca-cola? Che è l’origine del titolo “Il salto doloroso”? Perché il cerbiatto saltando si ferisce con la lattina. Logicamente attraverso questa sequenza si può capire che quel salto non è lì a caso, e io personalmente ho intitolato questa esperienza: "a bocca aperta con Vera trattenendo il respiro sotto il salto del cerbiatto" perché io sono sicuro che Vera quando ha fatto quel disegno del salto del cerbiatto, ha saltato anche lei. E quindi quelle emozioni che lei è riuscita a trasmettere attraverso il suo disegno, il suo racconto, le ha vissute.

Andiamo avanti con le immagini.

Ecco qui c’è un altro racconto. L’anno prima Vera aveva fatto un'altra storia con gli stessi personaggi che si intitola: Oggi spazzini, e il sottotitolo di tutte e due le storie è: I folletti dei fiori. Quindi vuol dire che lei aveva anche già individuato la possibilità di fare una serie di storie con gli stessi personaggi.

E logicamente qui cosa succede: che qualcuno può identificare alcuni tratti di questi disegni con disegni di alcuni fumetti o cartoni animati. Uno dei tratti particolari di questa bambina è quello di aver saputo utilizzare personaggi mutuati dalle cose che vedeva, ma utilizzati autonomamente per narrare altre storie.

Ecco qui vedete ad esempio una, due strisce inventate con un personaggio surreale che fa delle cose surreali in sequenza ed anche qui addirittura utilizzando anche lo spazio dove si racconta la storia: quello di una vignetta per muoversi come in un teatrino. La scala, vedete, che serve al personaggio per andare nella vignetta in alto, o addirittura dove il personaggio cade nella fontana della vignetta sottostante, tornando indietro da sotto (senso inverso di lettura del fumetto).

Ecco, qui invece c’è una serie di figure che sono collocabili fra i 5 e gli 8 anni, in cui questa bambina disegna delle figure senza modelli ma semplicemente basandosi sulla sua gestualità, sul suo sentire quasi fisico il movimento. Addirittura vedrete lì delle figure ritagliate, ma che sono state ritagliate prima e lì disegnate, e vedete disegni di ballerine. Lei aveva incominciato a fare anche danza e riusciva a trasmettere nei disegni questi suoi movimenti, senza pentimenti, cioè subito! Senza l’uso di gomme, con un solo tratto.

Vedremo andando avanti con le immagini altre figure: queste le mette addirittura insieme in una specie di teatrino; queste sono ballerine che danzano sulle altalene. Vera frequentava la scuola di danza contemporanea. L’ha frequentata per pochi mesi, però era talmente dentro di lei l’espressione della danza, anche attraverso i gesti e il movimento, che riusciva a trasmetterlo attraverso la grafica. Queste figure le abbiamo chiamate: le Cenerentole… probabilmente lei aveva intenzione di raccontare una storia perché sono figure in posizioni molto particolari.

Questo disegno è anche questo fra i sette e gli otto anni. Ma vedremo che il filo che unisce tutte queste figure e racconti è proprio la capacità di trasmettere il movimento.

Queste figure che vedete sono ancora ballerine, posso testimoniarvi che sono ritagliate senza disegnarle prima, con forbici e mani, quindi una capacità di avere talmente dentro chiara la cosa che doveva fare che non aveva bisogno di sostegni prima, di prove grafiche; con le forbici direttamente ritagliava. Una cosa così la faceva, ma molto più adulto, Christian Andersen.

La caratteristica di questa bambina era che esplorava, come abbiamo detto prima, tutte le possibili strade espressive: ritagliare, costruire, disegnare, raccontare, muoversi, cantare, scrivere poesie, inventare storie...queste sono delle figure che sono state utilizzate, appunto, dalla sua maestra di danza per una specie di locandina-manifesto.

Ecco qui vediamo degli altri disegni che non sono più racconti estesi. Come stamattina è stato detto più volte, il bambino racconta in sequenza anche quando racconta su una tavola. Quando il bambino disegna, se disegna molte cose, le disegna successivamente e si racconta e racconta mentre disegna. La cosa che mi piace di più è vedere e osservare i bambini mentre disegnano (e sono trent’anni che lo faccio e alle volte li invidio, anzi spesso, per i risultati che ottengono), ma molto di più mi piace la loro capacità di partecipazione nel momento in cui operano. Logicamente il risultato, molto spesso, dipende dalla possibilità e dalla capacità di identificarsi con il lavoro che stanno facendo in quel momento.

Quelle figure le abbiamo chiamate marionette perché sono figure con le “striscioline” di carta o cartone attaccate dietro, e con le quali una volta facevamo il teatrino. Questa figura che abbiamo chiamato “Zingara” è stata disegnata fra i 4 e i 5 anni. Anche Faeti la riporta sull’articolo che avete di “Schizzo”perché è singolarissima: intanto la capacità di rendere proporzionalmente la figura, ma anche la postura, il gesto, il movimento; sono figure non statiche.

Ecco io ho riportato due esempi di disegni che non sono figure proprio perché, in base a quello che dicevamo prima, il movimento, il racconto esiste anche in disegni che non hanno l’idea di raccontare una storia in sequenza. Però queste figurine di animali che si muovono in un certo ambiente si stanno muovendo…e anche la ricchezza di particolari… Perché, guardate che questi disegni eseguiti dai tre ai quattro anni, dai 3 ai 4 anni!, sono disegni che stravolgono certi schemi che alcuni studiosi del disegno infantile danno: “che il bambino ha due piani, alto e basso”, ma non è sempre vero.

Addirittura in qualcuno di questi disegni si riconoscono i “graffiti della Val Camonica”, e qui ancora l’essenzialità di questo “cervo” fatto a tre-quattro anni col pennello… Ecco qui abbiamo altri disegni, questa è “la Pimpa” che ha fatto a quattro anni. La bambina riutilizza un personaggio che probabilmente le è caro, ecc.. per creare altre situazioni che non sono “la copia” di quelle che ha visto sul giornalino, ma il personaggio è diventato suo, e lo farà molto di più andando avanti arrivando fino, e purtroppo qui non possiamo farvele vedere, alle Sailor Moon (cartoni animati giapponesi) con le quali ha creato storie inimmaginabili sia dal punto di vista grafico che narrativo.

Questo è un “pulcino” fatto a tre anni: guardate l’espressione e la vitalità di questo pulcino che io ho ritrovato in un disegno che era stato fatto vedere stamattina. E poi c’è “Nuvola”, questi sono disegni eseguiti a nove anni, era un coniglietto che lei aveva con il quale inventava delle storie e quindi le ha riportate facendo un libretto dedicato a lui. Le immagini sono purtroppo poche rispetto alla quantità.

Una bambina che DA SEMPRE ha lavorato e logicamente quello che io ho voluto far vedere con questi pochi esempi è la partecipazione che la bambina mette mentre disegnava queste cose, che trasmette dentro nel disegno. Alle volte chi è abituato ad osservare i bambini mentre disegnano o chi è abituato anche, nella sua esperienza, ad utilizzare questi linguaggi, sa benissimo che è una modalità normale, se non c’è vuol dire che in quel momento lo si sta facendo per “mestiere”, ma non perché è un esigenza di comunicazione.

Quindi le posture, i gesti, i movimenti che vengono trasmessi attraverso il disegno come un elemento non di staticità e che non è così semplice da raggiungere. Molto spesso i bambini, la maggior parte dei bambini, riescono a raccontare ma non sempre riescono a dare quell’imput di movimento che vorrebbero dare, tanto è vero che in classe qualche bambino viene da me e si lamenta "ma deve saltare e non riesco a farlo saltare..." - e io rispondo: "prova a saltare tu! … e poi, adesso, quando hai saltato bene chiudi gli occhi, pensaci e pensa a cosa hai fatto…"; e qualcuno ci arriva, magari non la prima volta, la seconda, la terza... la decima... "non preoccuparti" - dico io - "si può arrivare anche alla 5001, ma però ci si può arrivare!"

Ho lavorato con Vera molte volte individualmente e l’ho osservata parecchio.

Queste sensazioni che affiorano all’esterno e che poi trasmette sul foglio le fa lei: "Vera mentre disegna talvolta si alza, si muove, interrompe il proprio lavoro sul foglio e ripete, ma realmente, quasi a provare, le posture, i movimenti, i gesti, le espressioni"

Raccontando la storia di Vera e di come anche, appunto ripeto Faeti ha convalidato la sensazione di una bambina che ha maturato, con un percorso autonomo senza bisogno di insegnamenti, e ha conquistato un traguardo.

Logicamente non tutti i bambini hanno questa caratteristica, però molti bambini potrebbero arrivare a risultati SE…

"Vera ha saputo vivere la propria creatività pienamente" - abbiamo visto… e se avessimo qui tutto il materiale lo vedremmo anche di più; "… senza dubbio sostenuta da una particolare vocazione ( chiamiamola così perché si usa), da una naturale e vivace curiosità per tutto quanto le stava e succedeva intorno, ma soprattutto dall’urgenza di comunicare, raccontare, di esprimersi, e ancora da una GRANDE VOGLIA DI FARE…". Molto spesso i bambini hanno voglia di raccontare e di comunicare, ma non sempre ne hanno voglia. Non sempre hanno voglia di fare, cioè di subire la fatica che alle volte costa il “fare”. Questo non perché sia solo un limite loro, ma perché non c’è stato un percorso precedente.

"...di realizzare, di inventare, di re-inventare, di rendere visibili le proprie realtà…"- perché Vera, come tutti i bambini, ha tanta realtà: una esterna, una interiore, una vissuta, una sognata, e poi anche altre… costruendosi allo scopo anche un proprio linguaggio con una propria grammatica…" Qualcuno dice: "anche una propria logica…che non è quella degli adulti". Quando qualcuno guarda i disegni dei bambini, è come guardare l’arte del ‘900…se uno non si toglie i preconcetti, difficilmente la gusta. Se invece si accosta ai disegni dei bambini senza preconcetti, coglie non delle immaturità, ma delle potenzialità che possono essere sviluppate successivamente se gli si dà lo spazio. E allora ripeto che:

"Vera ha saputo vivere questo perché ha potuto viverlo…" Perché ha potuto viverlo? Primo: "perché ha trovato una sensibilità educativa in chi le stava vicino", che non è indifferente. La sensibilità educativa è quella degli adulti, che in questo caso possono essere i genitori, ma alle volte a scuola sono anche gli altri adulti, cioè noi insegnanti.

Questa sensibilità "che ha saputo darle uno spazio fisico, psicologico, affettivo" - e tutti quanti i vari significati che vogliamo dare - "nel quale autonomamente muoversi". Io ripeto sempre: il bambino non impara a camminare nel girello, impara se io gli do lo spazio per attaccarsi, rotolare, tirarsi su, e quindi ha bisogno di uno spazio dove muoversi autonomamente.

…dove operare, dove sperimentare, e che gli ha dato anche i mezzi, i materiali per farlo. Che si è preoccupato di prendersi CURA di questa operatività, di questa voglia di fare. Di nutrire le SUE curiosità, di ascoltarla , di condividerne le esperienze e le scoperte… Raccontando, dando materiali, …in tanti modi…. E che ha avuto giusta e consapevole attenzione e considerazione del suo FARE.

Quello che noi molto spesso da adulti diciamo:
"Ah! l’ha fatto il bambino.. sì: bravo, bravo!" Ma poi…lì…da parte.
Io invece ripeto sempre ai genitori, ed è una pedagogia che andrebbe rivalutata, e che è quella che se nelle scuole e nelle case invece di tante “brutture” dovessero mettere in cornice alcuni disegni di bambini ne guadagnerebbe il buon gusto e anche la cultura dell’immagine.

Ecco, un diverso atteggiamento da parte degli adulti, in questo caso sia dei genitori che altri adulti che possono essere a contatto con i bambini, e un contesto disinteressato al suo fare…oppure interventi inadeguati o inopportuni tendenti a sovrapporsi o a sostituirsi ai suoi passi, non avrebbero potuto favorire la sua crescita, con il rischio di appassire, di soffocare ogni tensione all’espressione autonoma, con successivi ripiegamenti, che noi tutti adulti e insegnanti conosciamo, fino all’abbandono della volontà e della voglia di esprimersi autonomamente. (Poi uno può scegliere se …suonare il piffero quando è grande, o continuare a disegnare, o scrivere poesie…però se noi abbiamo tolto prima l’opportunità di esprimersi …di strada ne fa poca).

Secondo: c’è un altro punto…e qui c’è “La storia di Vera”. E’ una storia che abbiamo avuto l’avventura di incontrare sulla nostra strada e che ancora oggi ci insegna molto. In un catalogo di una bellissima mostra che hanno fatto due anni fa a Brescia “L’occhio dell’innocenza”dove sono stati messi a confronto lavori di bambini di tutto il mondo, raccolti in una Pinacoteca del bresciano, con autori dell’arte moderna del ‘900,…c’erano vari interventi di vari studiosi e c’è una frase di un docente di Psicologia dell’Arte di Bologna che si chiama Stefano Ferrari, che dice: Il bambino si serve del gioco e del disegno per appagare i suoi desideri e per difendersi da una realtà altrimenti inaccettabile - e questa è un’esperienza che personalmente ho vissuto con Vera.

Vera si è spenta poco prima di compiere dieci anni. E oggi sarebbe qui, in questa scuola, in terza media, i suoi compagni sono qui. Gli ultimi tre anni , aggredita dalla malattia che, oltre a strapparla da una normale vita da bambina , dalle relazioni con i compagni , dalla scuola , dalla danza, avrebbe potuto prosciugare in lei anche la voglia di fare , interrompere anche il suo percorso espressivo, un percorso già ben avviato e consolidato , che invece non si è affievolito, e nemmeno spento. Un percorso che si farà appunto in questi anni, coerente e concluso come dice Faeti, che approda a risultati sicuri con un proprio stile riconoscibile ( vi consiglio di leggerlo quell’articolo perché è molto bello).

Distolta dall’esperienza di una vita normale, Vera si è aggrappata ANCHE a questa sua realtà espressiva come ad una risorsa, facendone il luogo dove non semplicemente fuggire, rifugiarsi, estraniarsi, ma piuttosto il luogo dal quale attingere nuove energie con le quali poter far fronte alla fatica di vivere, giorno dopo giorno… e anche per poter permettersi di sperare. Perchè fino all’ultimo giorno ha sperato che la vita andasse avanti. Anche l’ultimo giorno insieme a Nuvola nel lettino dell’ospedale, l’ultima sera.

Ecco, logicamente SE…, e metto un SE grosso…che è didattico, se volete. SE prima, …(ecco perché non ho voluto parlare della malattia di Vera prima. Non volevo falsare il giudizio su Vera, sulle sue capacità e sul suo percorso espressivo). SE prima non ci fosse stato quell’atteggiamento di cui abbiamo parlato, quelle attenzioni, quella CURA; SE non fosse stato dato lo spazio a Vera, Vera avrebbe poi avuto questa risorsa? Nei tre anni “staccata” dal mondo, fuori da tutto? Direi di NO.